Vitamina D

Fresh products rich in vitamin D on grey table, flat lay

Sole, Vitamina D e Celiachia

Certo è tutto vero il consiglio della nonna di stare al sole per aumentare la Vitamina D non è una diceria. Confermo che il sole è un ottimo aiutante.

Dico anche che però se gli esami del sangue riscontrano una carenza di Vitamina D, pur abitando in una città dove splende sempre il sole non è sufficiente.

Dov’è contenuta la Vitamina D

Parte il grande elenco della spesa in cui saranno presenti pesce, alcuni formaggi e le uova. 

Ho scoperto che i funghi sono l’unica fonte vegetale di Vitamina D in natura e che fra i pesci quelli dei mari del Nord ne contengono di più.

Pesce: Salmone, aringa, sgombro, sardine, tonno, anguilla, ostriche e gamberi

Formaggi: tutti i formaggi grassi e il burro

Carne: di fegato

Uova: il tuorlo è il protagonista

Latte: di mucca e di soia

Una recente review pubblicata su Nutrients porta l’attenzione sulla relazione vitamina D e celiachia. In particolare nella fase precedente e/o immediatamente dopo diagnosi di celiachia – quando cioè il malassorbimento è presente a causa della destrutturazione delle strutture preposte: i villi.

Gli autori dello studio hanno evidenziato come in soggetti adulti senza sintomi o paucisintomatici, la sola carenza di vitamina D possa essere segno unico della malattia. 

A Cosa serve la Vitamina D

La Vitamina D contribuisce alla buona salute di ossa e dentima non era il Calcio il responsabile di denti e ossa? Certo, peccato che la Vitamina D è la principale responsabile dell’assorbimento di calcio e fosforo.

Ok, abbiamo già imparato una cosa nuova.

La Vitamina D contribuisce anche al normale funzionamento del sistema immunitario e al mantenimento della funzione muscolare

CARENZA IN VITAMINA D : UNA PRIMA SOLUZIONE EFFICACE MA « DOLOROSA »

La storia dei sintomi legati alla carenza di vitamina D nasce già nell’antichità. Già in questa epoca infatti, sono stati osservati casi di rachitismo, malattia dello scheletro in crescita nei bambini. Se la Vitamina D era totalmente sconosciuta, la sua assenza provocava già all’epoca importanti problemi di salute.

In Francia, già dal XIX° secolo, il Dott. Armand Trousseau raccomandava l’esposizione al sole, mentre invece Dale Percival, prescriveva l’olio di fegato di merluzzo. Possiamo davvero ringraziarlo, poiché oltre a salvare molte vite, il suo « saporito » rimedio fu la prima forma di integrazione orale di vitamina D . “Olio di fegato di merluzzo: l’amaro da bere.” Marc Escayrol

LA VITAMINA D E GLI ESCHIMESI

La consumazione di alimenti ricchi di Vitamina D tipica di alcune culture, ha permesso di poter identificare il loro potenziale nutrizionale. Questa medicina, qualificata come istintiva, venne osservata nella popolazione degli eschimesi. Questi ultimi consumavano fegato di pesci o foche crudi, che si è scoperto poi contenere della vitamina D (vi andrebbe di provare?). In assenza di sole, queste popolazioni avevano adottato questa forma di auto-terapia . Un approccio affascinante

Per quanto riguarda il rachitismo causato da carenze in vitamina D, è nel 1922 che Hariette Chick rivelò in uno storico studio che l’assunzione di latte intero e olio di fegato di merluzzo permettevano di curare il rachitismo tra i bambini malnutriti di Vienna dopo la prima guerra mondiale.

Più precisamente, l’attività antirachitica dell’olio di fegato di merluzzo venne provata all’inizio del XX° secolo, grazie alle scoperte di Edward Mellanby. Successivamente, Elmer McCollum confermò le sue tesi e propose il nome di Vitamina D per questo principio anti-rachitismo. Dopo aver isolato la molecola, questa fu sintetizzata a metà del XX° secolo.


L’alimentazione tradizionale dei popoli eschimesi potrebbe sembrare, secondo gli standard moderni, del tutto sbilanciata: si basa principalmente su carne e grassi animali, con l’aggiunta sporadica di bacche, alghe e dei pochi tuberi in grado di crescere nella tundra durante la stagione più calda.

Circa il 50% delle calorie ingerite dagli Inuitproviene da grassi, il 30-35% da proteine di origine animale e il restante 15-20% da carboidrati; nonostante questo forte disequilibrio di nutrienti fondamentali, gli Inuit sono stati considerati in passato uno dei popoli più in salute del pianeta.

E’ possibile vivere senza conseguenze seguendo una dieta di questo tipo? E’ vero che gli Inuit mantengono una salute di ferro seguendo uno stile alimentare del tutto sconsigliato in tempi moderni, ciò che viene definito “il paradosso alimentare Inuit”?

La dieta degli Yup’ik

Il popolo Yup’ik, insieme agli Inupiat (o Inuit), costituisce uno dei due principali gruppi etnici eschimesi. Il loro stile alimentare, sostanzialmente identico a quello Inuit, è uno dei più antichi al mondo e ha radici che affondano nei primi spostamenti degli eschimesi dalla Siberia al Nord America, avvenuti tra 50.000 e 15.000 anni fa.

La cucina Yup’ik si basa principalmente su proteine e grassi animali. In base alla stagione, gli Inuit e gli Yup’ik cacciano principalmente foche, trichechi, mammiferi marini, orsi bruni, alci e renne, arricchendo la loro dieta con grandi quantità di pesce, crostacei, molluschi e uccelli marini.

Gli Yup’ik pescano almeno 6 specie di salmone, un pesce alla base della loro dieta, e cacciano cinque specie differenti di foche, che forniscono non solo cibo ma anche materiale per utensili, pelle per i vestiti tradizionali e olio. Ogni animale terrestre è considerato una potenziale fonte di cibo o di pelle, compresi i porcospini nordamericani, gli scoiattoli, le marmotte e le lontre.

I vegetali, in rapporto a proteine e grassi animali, costituiscono una piccola parte dell’alimentazione eschimese. La tundra non consente la crescita di piante da frutto, costringendo i popoli locali a nutrirsi di radici, bacche o licheni come il Cladonia rangiferina, di cui le renne vanno particolarmente ghiotte.

Inuit durante la caccia alla foca in Alaska (1903-1915). Photographer: Lomen Brothers, Nome, Alaska
Inuit durante la caccia alla foca in Alaska (1903-1915). Photographer: Lomen Brothers, Nome, Alaska

Un alimento molto pregiato per gli Yup’ik è quello che viene definito “anlleq” (“cibo dei topi”), una collezione di radici immagazzinate dalle arvicole prima dell’inverno nei loro rifugi sotterranei.

Gli anziani Inuit e Yup’ik insegnano ai loro giovani come raccogliere queste radici, lasciando sempre sul posto metà del deposito a disposizione del roditore per garantire la sua sopravvivenza.

Nutrienti essenziali, non cibi essenziali

Per comprendere meglio come possano gli eschimesi mantenere questo regime alimentare fortemente sbilanciato a favore di grassi e proteine, e apparentemente privo di carboidrati, vitamine e fibre, occorre analizzare con attenzione il cibo che introducono quotidianamente nel loro organismo.

Occorre innanzitutto effettuare una distinzione tra “cibi essenziali” e “nutrienti essenziali”. Siamo stati abituati a pensare che cereali, verdura e frutta debbano costituire la base di una dieta equilibrata e sana, ma la realtà è più complessa di questa banale generalizzazione

Non è la natura del cibo (animale o vegetale) che fa la differenza, ma il suo contenuto di nutrienti essenziali. La vitamina C, ad esempio, indispensabile per evitare lo scorbuto, non è prerogativa di frutta acida come limoni e arance, ma è presente anche negli organi interni di alcuni animali, e in quantità sorprendenti.

La quantità di carboidrati presente nella dieta Inuit, invece, è solo in parte ottenuta da alghe, bacche e tuberi: una buona porzione di questi carboidrati si genera durante la fermentazione di proteine animali, o si può ottenere dalla carne cruda dei mammiferi marini.

Il problema della vitamina C

La vitamina C (acido ascorbico) è essenziale per evitare lo scorbuto, una malattia citata fin dal 1.500 a.C. e che causa la compromissione di tessuto connettivo e osseo.

L’essere umano, contrariamente ad altri animali che sintetizzano l’acido ascorbico attraverso il fegato, dipende da sorgenti esterne per rifornirsi di vitamina C: limoni, arance e verdura contribuiscono a mantenere livelli ottimali di vitamine nel nostro organismo.

Per combattere lo scorbuto a bordo delle navi, fin dal XVI secolo si iniziò a trasportare alimenti contenenti vitamina C, come il tè al cedro; ma questa vitamina tende ad ossidarsi col passare del tempo e a degradarsi totalmente con la cottura, aspetti che resero difficile contrastare lo scorbuto fino a tempi relativamente recenti.

Ma come è possibile ottenere questa vitamina in un clima rigido come quello in cui vivono gli Inuit, senza disponibilità di frutta acida e di verdura? Per evitare lo scorbuto occorre una dose giornaliera di circa 30 milligrammi di vitamina C, e la dieta eschimese fornisce una quantità più che sufficiente di vitamina.

Gli organi interni di foche e altri mammiferi marini o terrestri, se consumati crudi, hanno un elevato contenuto di vitamina C: il fegato di renna contiene circa 24 milligrammi di acido ascorbico ogni 100 grammi, mentre il cervello di foca quasi 15 milligrammi.

Muktuk
Muktuk

Il muktuk, un alimento tradizionale costituito da pelle e grasso di balena consumato tradizionalmente crudo, contiene fino a 38 milligrammi di vitamina C ogni 100 grammi, un contenuto quasi equivalente a quello di un’ arancia.

Pochi carboidrati, molti grassi e proteine

La dieta tradizionale Inuit e Yup’ik prevede pochi carboidrati e una quantità enorme di grassi e proteine; apparentemente, questo squilibrio sembra non scatenare particolari effetti nocivi sull’organismo umano.

Il grande quantitativo di grassi è giustificabile da due ragioni: i grassi sono nutrienti altamente energetici e contribuiscono a fornire preziose kilocalorie per lavorare e sopravvivere in un ambiente ostile come la tundra e l’Artico; in secondo luogo, i grassi servono ad evitare di incorrere nella “malattia del caribù” (spiegata in questo post) in una dieta povera di carboidrati e ricca di proteine.

La differenza sostanziale con alcune diete moderne a base di grassi e proteine risiede tuttavia nella qualità dei nutrienti assunti: non tutti i grassi sono uguali, in particolar modo quelli provenienti da animali d’allevamento e quelli estratti da animali selvatici.

I depositi adiposi degli animali d’allevamento generalmente sono ricchi di grassi saturi, notoriamente non proprio salutari. Gli animali che vivono allo stato brado, invece, hanno meno grassi saturi e quantità superiori di grassi monoinsaturi; in aggiunta, pesci e mammiferi marini contengono grassi acidi omega-3, che contribuiscono a mantenere sano il sistema cardiovascolare.

Il muktuk, ad esempio, oltre a vitamina C e D ha una parte grassa composta al 30% da omega-3, costituendo uno degli alimenti grassi di origine animale meno dannosi dell’intero regno animale.

Gli omega-3, oltre ad apportare qualche piccolo beneficio al sistema cardiovascolare (benefici messi in discussione da ricerche recenti), fungono anche da “aspirina naturale” alleviando alcuni processi infiammatori; non sono tuttavia salutari se assunti in dosi massicce, come ogni altro nutriente.