Mentre domani si celebra in tutto il mondo la Giornata di sensibilizzazione sulla malattia di Alzheimer, la scienza si interroga alla ricerca di possibili cause della patologia. Ed emergono anche teorie affascinanti che correlano l'alimentazione e l'insorgenza della demenza. Ad esempio, visto che i casi di malattia sembrano aumentare soprattutto nelle popolazioni con una dieta meno salutare e con maggior sovrappeso, alcuni studiosi ipotizzano un ruolo diretto dei cibi-spazzatura nella genesi della malattia tanto che chiamarla diabete di tipo 3, come ha proposto Suzanne de la Monte, della Brown University di Providence. Per ipotizzare l'impatto della dieta sull'insorgenza dei quadri di demenza, la studiosa ha sottoposto gli animali a una dieta ipercalorica, iperlipidica e iperglucidica, vedendo che le capacità cognitive cominciavano a calare prima, con la comparsa di quadri di demenza. Ma non basta: anche sull'uomo cominciano a esserci le prime chiare osservazioni di un rapporto tra cibo e malattia. Basti pensare ad esempio alle ricerche di Suzanne Craft, che alimentando per un mese volontari con una dieta ad elevato contenuto glucidico e lipidico e altri con un'alimentazione esattamente opposta, ha dimostrato che nei primi si verifica un aumento della proteina amiloide, quella che pervade le cellule cerebrali in caso di malattia. Altri studi saranno necessari per comprendere bene il rapporto tra alimentazione e malattia di Alzheimer. Ad oggi rimane la realtà di una patologia in costante crescita numerica, destinata ad aumentare ancora per il progressivo incremento dell'età media della popolazione.
La malattia di Alzheimer è la sesta causa di morte negli Stati Uniti Questa condizione irreversibile e progressiva distrugge le cellule cerebrali, con conseguente perdita di memoria e gravi problemi comportamentali (aggressività, deliri e allucinazioni) che interferiscono con la vita quotidiana e le attività.
La causa è convenzionalmente sconosciuta e sembra essere un mistero. Mentre noi sappiamo che alcune malattie, come il diabete di tipo 2, sono definitivamente collegate al cibo che si mangia, il morbo di Alzheimer è generalmente ritenuto colpire senza preavviso o motivo.
Cioè, fino a poco tempo un numero crescente di ricerche suggerisce che ci può essere una potente connessione tra gli alimenti che mangiamo e il rischio di malattia di Alzheimer e la demenza, attraverso percorsi simili che causano diabete di tipo 2. Alcuni hanno anche chiamato l' Alzheimer " il diabete del cervello di tipo 3."
- Una carenza di grassi sani, in combinazione con un numero eccessivo di carboidrati può essere al centro dell'epidemia del morbo di Alzheimer
- Un numero crescente di ricerche suggerisce che ci può essere una potente connessione tra gli alimenti che mangiate e il vostro rischio di malattia di Alzheimer e la demenza, attraverso percorsi simili che causano diabete di tipo 2. In uno studio recente sugli animali, i ricercatori sono stati in grado di indurre la demenza da compromettere la corretta segnalazione di insulina nel cervello
- Ricerca sugli animali precedenti hanno mostrato che la restrizione calorica protegge contro l'invecchiamento, lo stress ossidativo e le patologie neurodegenerative, e che la riduzione dei livelli di IGF-1 mediare alcuni di questi effetti protettivi.
- Recenti ricerche hanno anche dimostrato che il digiuno intermittente innesca una serie di promozione della salute cambiamenti ormonali e metabolici simili a quelli di calorie costante restrizione-fra cui la riduzione correlata all'età restringimento del cervello
I ricercatori hanno iniziato a collegare l’Alzheimer al diabete,all’obesità e alle malattie cardiache. La correlazione è talmente forte da indurre gli scienziati della Brown Medical School a definire l’Alzheimer come diabete di tipo 3. Numerosi studi hanno mostrato che le persone con diabete di tipo 2 hanno un’incidenza circa doppia di Alzheimer. Una ricerca del Karolinska Institute svedese ha scoperto che anche le persone con diabete border line, cioè chi ha alti livelli di zucchero nel sangue, hanno un rischio maggiore del 70% di sviluppare l’Alzheimer (140). Evidentemente, nelle persone con glicemia alta aumenta il rischio di demenza. L’ipotesi è che la causa primaria sia l’inadeguata circolazione cerebrale indotta dal diabete. Uno studio durato otto anni condotto dal Kaiser Permanente ha esaminato 22.582 pazienti di 50 e più anni con diabete di tipo 2 e ha constatato che gli individui con glicemia alta avevano un rischio maggiore di demenza e di Alzheimer. Rispetto ai soggetti con livelli normali di emoglobina glicosilata (HgbA1c minore di 6), coloro che avevano livelli maggiori di 12 avevano il 22% di possibilità in più di sviluppare demenza e per chi aveva i livelli maggiori di 15 le possibilità erano del 78% in più. Così come la malattia vascolare periferica porta all’amputazione, così esiste una demenza vascolare favorita da una cattiva circolazione del sangue nel cervello.
altera lo stato di assimilazione intestinale
crea una aumentata resistenza insulinica
fa ipofunzionare la tiroide
Demenza e infezioni passate: legame inconsueto ma reale
Le infezioni da patogeni comuni contratte in passato aumentano il rischio di disturbi cognitivi, almeno secondo uno studio svolto presso la Columbia University di New York e pubblicato su Neurology
Le infezioni da patogeni comuni contratte in passato aumentano il rischio di disturbi cognitivi, almeno secondo uno studio svolto presso la Columbia University di New York e pubblicato su Neurology. «La ricerca dimostra che l'infiammazione infettiva gioca un ruolo di concausa nella patogenesi dell’ictus ischemico, dell’aterosclerosi e della demenza» dice Mitchell Elkind, professore associato di neurologia alla Columbia e coordinatore dello studio. E spiega: «Le infezioni batteriche e virali possono diffondersi alle pareti dei vasi provocando il rilascio di citochine, modificando il metabolismo lipidico, e contribuendo in diversi altri modi alla disfunzione vascolare». Per esempio, i processi infettivi da virus come Herpes simplex tipo 1 (Hsv-1) e Citomegalovirus (Cmv), e da batteri, quali Chlamydia pneumoniae ed Helicobacter pylori, risultano legate a doppio filo alla malattia di Alzheimer , che comporta un deficit cognitivo. «Da precedenti analisi del Northern Manhattan Study (Nomas), un trial prospettico sui fattori di rischio dell’ictus svolto dalla Columbia sulla comunità dell’area nord di Manhattan, emerge che la misura sierologica del tasso di infezioni passate si lega al rischio di ictus e aterosclerosi carotidea» riprende Elkind. E il danno cerebrale, con i fattori di rischio vascolare, si associa a un aumentato rischio di Alzheimer e altre demenze. «La nostra ipotesi era che la misura sierologica del tasso di infiammazione cronica dovuta ai sopraelencati agenti infettivi non aumentasse solo il rischio di ictus, ma anche di demenza» sottolinea il neurologo, che insieme ai colleghi ha verificato se tra più di 1.500 partecipanti al Nomas vi fosse un legame tra sierologia per Hsv-1 e 2, Cmv, C. pneumoniae e H. pylori, e la valutazione cognitiva ottenuta con il Mini-Mental State Examination (Mmse) all’inizio dello studio e il Telephone Interview for Cognitive Status modificato (Tics-m) al follow-up annuale. «L’ipotesi microbi-demenza è reale, e in attesa di studi su terapie specifiche, è opportuno valorizzare strategie preventive quali vaccinazione, trattamento ed eradicazione precoce delle infezioni» osserva in un editoriale di commento Timo Strandberg, geriatra dell’Univeristà di Helsinki
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Montagnier: infezioni e malattie neurodegenerative
Ottanta anni, francese, virologo, Luc Montagnier nell'83 individuò per primo il virus dell'Aids. Una scoperta all'Istituto Pasteur di Parigi che lo ha portato, nel 2008, a vincere il premio Nobel per la Medicina. Oggi sarà in Campidoglio a festeggiare il decennale della Fondazione Veronesi dove consegnerà borse di studio a giovani ricercatori.
«Cancro e Aids hanno un minimo comune denominatore - spiega Montagnier - Sia il virus HIV che le cellule tumorali si sviluppano in organismi più deboli dal punto di vista immunitario. Per questo è importante proteggere il proprio organismo per quello che si può. La difesa deve venire anche da noi e dal nostro comportamento. Dal mantenimento delle nostre difese, dall'attenzione verso uno stress ossidativo che è all'origine di un deficit immunitario che apre la via a virus e batteri».
La classe medica non deve smettere di responsabilizzare la cittadinanza verso la propria salute. Oggi Montagnier sta lavorando su test del DNA in grado di identificare infezioni che non si sono ancora palesate e che sarebbero alla base di malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, il Parkinson e alcune forme di tumore.
«Ci stiamo rendendo conto - prosegue Montagnier - che anche le malattie degenerative cerebrali sono legate a infezioni che si sono contratte durante la vita o anche durante la gravidanza. Penso all'autismo. Per capire questa malattia come altre del cervello va seguita la pista dell'infezione da batterio; la sperimentazione fatta su 200 bambini ha dato esito positivo. Pensiamo a cure, nei primi anni di vita, a base di antibiotici. E il discorso vale anche per altre malattie».
Le infezioni che un tempo si curavano senza difficoltà con i farmaci disponibili, ora possono diventare un grande problema. Si ricomincia a morire di infezioni che ormai non facevano più paura, come polmoniti o infezioni intestinali. E addirittura si configura uno scenario da incubo, come preconizza il Centro per il Controllo delle Malattie di Atlanta. Tutta questa ansia viene dal costante, inesorabile aumento della resistenza agli antibiotici, fenomeno che preoccupa la comunità scientifica anche per l'oggettiva carenza di nuove opzioni terapeutiche. Se fino a qualche decennio fa la comparsa di resistenze veniva affrontata con nuove molecole immediatamente disponibili sul mercato, oggi la ricerca sembra aver alzato bandiera bianca, anche perchè lo studio di questi farmaci destinati a terapie su pochi pazienti e di breve durata, non appare conveniente per l'industria farmaceutica. Così oggi la scienza e i sistemi sanitari stanno percorrendo un sentiero insidioso, di cui ancora non si vede la fine, lungo il quale l'impiego di antibiotici mirati per ceppi resistenti potrebbe divenire un'utopia. "Le resistenze stanno accelerando, mentre le aziende hanno abbandonato la ricerca di antibiotici - avverte Ercole Concia, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell'Università di Verona".
Pandemie, pleomorfismo e dinamica
di Laurence Hecht, 21st Century Science & Technology
20 aprile 2009 (MoviSol) - La malattia infettiva a più rapida diffusione in America Settentrionale e in Europa è quella trasmessa dalle zecche, causata da un batterio simile alla spirocheta della sifilide, il borrelia burgdorferi. Se non curata, l’infezione manifesta sintomi simili a quelli della sifilide più avanzata. Gli esperti stimano che, oltre ai 30.000 casi noti alle autorità sanitarie americane, ogni anno negli Stati Uniti si abbiano 200.000 nuovi casi d’infezione.
La malattia fu identificata per la prima nel 1975 volta a Lyme, nel Connecticut. Successivamente, la sua diffusione nelle zone nordorientali, medio atlantiche e centrosettentrionali degli Stati Uniti ha disseminato la preoccupazione nella popolazione. Negli anni Novanta il costo delle cure somministrate nella fase avanzata della malattia si aggirava attorno ai 100.000 dollari per paziente, una somma tanto elevata che nacquero forti dissidi tra le associazioni di malati e le compagnie di assicurazione, che negavano loro i rimborsi sanitari. Sotto la pressione delle assicurazioni, furono stabiliti infine dei protocolli sanitari da applicare nel caso di individuazione della malattia. Tali protocolli risultavano efficaci quando la malattia era ancora nelle sue prime fasi; mentre non ci si preoccupò di rendere meno costose le cure mediche o di alleviare le sofferenze di coloro ai quali la malattia era stata diagnosticata in ritardo oppure non era stata diagnosticata correttamente. Nei casi riguardanti persone giovani, la malattia può comportare grossi problemi neurologici, colpi apoplettici e, talvolta, il decesso. Negli adulti non curati, i problemi neurologici possono condurre a forme di demenza, simili a quella associata alla paresi generale osservata nella sifilide terziaria.
Il fallimento del sistema sanitario pubblico nei confronti di questa pandemia zoonotica, della quale i principali co-vettori sono il topo di campagna, il cervo e la zecca, è sintomatico di un fallimento metodologico molto più profondo, a proposito della comprensione e della cura delle malattie infettive in genere. Il fallimento è evidente tanto nelle applicazioni alle tematiche ecologiche di larga scala, ovvero in tema di economia fisica (purificazione e trattamento delle acque, infrastrutture sanitarie pubbliche), quanto nei riguardi della micro-ecologia dell’organismo umano. Nelle righe seguenti ci concentreremo sulla seconda categoria e indicheremo i possibili frutti di un approccio dinamico, piuttosto che il solito approccio cartesiano.
Nel 1935, lavorando presso il Lister Institute di Londra, ove aveva trovato asilo, fuggendo dall’Università di Gottinga all’ascesa al potere dei nazisti, la dott.ssa Emmy Klieneberger, identificò per la prima volta una nuova forma di microorganismi, da lei denominati "forme L" (dal nome dell’istituto). Avvalendosi di nuovi collaboratori, giunse a scoprire che sotto la "forma L" sono molti i tipi di batteri che in vitro possono così manifestarsi: occorre che siano sottoposti ad un cambio di pH o ad altre sollecitazioni. Le "forme L" includono sia alcune forme simili a cisti, granulari e molto piccole, che possono essere riconosciute soltanto attraverso procedure avanzate di pigmentazione o tecniche microscopica ad alta potenza, sia colonie di batteri sotto forme morfologicamente distinte e in quanto tali – come sembra – capaci di riprodursi. In un articolo del 1948, intitolato "Forme filtrabili di batteri", Klieneberger passò in rassegna la letteratura specialistica e propose che le "forme L" potessero rappresentare uno stadio differente del ciclo vitale dei batteri, una forma di esistenza differente da quella della fase adulta, come il girino differisce dalla rana.
Osservando l’apparizione, in connessione con le colonie di "forme L", di alcune sostanze minuscole e considerando la longevità delle forme stesse, Klieneberger propose che esse potessero rappresentare una forma primitiva di riproduzione sessuata, distinta dalla scissione binaria che caratterizza la riproduzione nella 'vita adulta' dei batteri. Nella rassegna della letteratura precedente, Klieneberger ragionò sul fatto che già in precedenza, nello studio della sifilide e della tubercolosi, alcuni avevano riferito delle piccole forme granulari e di qualcosa di assai simile alle colonie da lei osservate.
Nel momento in cui scrisse quell'articolo, le "forme L" erano state osservate in oltre cinquanta specie viventi. Da allora ne sono state trovate in molte altre. Sembra proprio che la maggioranza dei batteri, se non tutti, acceda a tali fasi, durante le quali ha luogo un tipo di trasferimento genetico orizzontale, simile a quello che il microbiologo Carl Woese suppose fosse accaduto nell'evoluzione che precedette la differenziazione delle specie viventi.
Klieneberger auspicò che altri studi più approfonditi sulle "forme L" potessero potenziare la nostra conoscenza dei batteri, fornendoci nuove conoscenze teoriche e pratiche per la cura delle malattie infettive. Tuttavia, già mentre scriveva quell’articolo, stava prendendo piede quel cambiamento paradigmatico che avrebbe portato all’enfasi, nella ricerca biomedica, sul materiale genetico, e alla sciocca idea che ad ogni espressione patologica si sarebbe trovato corrispondere o un singolo gene o un gruppo di geni. Il fallimento di questa falsa promessa, utilizzata come uno dei principali argomenti nella raccolta fondi che ha permesso il completamento del cosiddetto Progetto Genoma Umano, si sta palesando sempre più, come anche il New York Times, adesso, lascia intendere.
Con tutt’altra prospettiva, possiamo credere alle promesse di una rivoluzione rapida ed efficace, basata su un approccio dinamico alla questione, seguendo la direzione indicata dalla Klieneberger. Tra le idee più eccitanti è la possibilità di considerare la maggior parte delle malattie comuni, di cui si ignora l’origine, come malattie effettivamente infettive (batteriche o virali). Indicazioni in tal senso - nello specifico, pensando a batteri nella "forma L" – si hanno per la sclerosi multipla, la malattia di Lou Gehrig, il lupus, il Parkinson, la leucemia e altre forme di cancro, e l’Alzheimer.
La difficoltà nell’identificare gli agenti batterici anche nelle sintomatologie comuni delle malattie è illustrata dal caso dell'ulcera dello stomaco, il cui agente patogeno, una specie di helicobatterio, fu identificata soltanto dieci anni fa. Tale difficoltà non indica altro che la necessità di approccio dinamico. Nel caso dell’helicobacter pilori, che non da' sintomi nell’80% dei casi d’infezione, la malattia può essere innescata da alcuni cambiamenti dell’ecologia locale dello stomaco o dalla trasformazione della cellula batterica (pleomorfismo) nella "forma L", oppure da una combinazione dei due, espressa in un cambiamento dell’intero organismo e delle sue relazioni con l’ambiente esterno nella sua totalità.
In altre infezioni, come nella lyme e nella sifilide non ancora debellata, l’agente patogeno può essere rilevato in una sua fase, ma essere introvabile in un’altra. La neurosifilide, una forma avanzata di infezione sifilitica, può manifestarsi in persone che in precedenza non abbiano manifestato i sintomi dell’infezione nei suoi stadi intermedi: essa è sì trattabile, ma non più curabile. Il fallimento nella piena comprensione del ciclo vitale dei batteri e della sua interazione dinamica con l’ambiente potrebbe impedire la cura di simili malattie. Il trattamento antibiotico, che uccide la spirocheta per distruzione della parete cellulare, può portare l’organismo ad ospitare delle "forme L" prive di parete, più difficili da individuare e annientare.
Il dott. Alan MacDonald è convinto che le cisti ("forme L" granulari) della spirocheta siano presenti nel cervello di molte vittime dell’Alzheimer. La cisti della spirocheta è identica in dimensioni e forma alla placca primieramente identificata da Alois Alzheimer nelle autopsie dei defunti a causa della malattia da lui studiata. Nelle autopsie di 7 cervelli sui 10 colpiti dall'Alzheimer, ottenuti dalla banca degli encefali di Harvard, MacDonald ha trovato gli anticorpi del batterio borrelia burgdorferi. In un altro cervello di una vittima morta di Alzheimer, nota per aver subito l’infezione di lyme otto anni prima del decesso, MacDonald ha trovato una corrispondenza topografica tra i siti delle placche di Alzheimer (che egli crede essere cisti di borrelia burgdorferi) e i siti in cui è avvenuta la reazione degli anticorpi di borrelia.
Un altro specialista di malattie infettive, che ha curato con successo un caso di leucemia terminale con antibiotici, crede che la malattia fosse dovuta ad un’infezione di bartonella, una specie batterica probabilmente veicolata da artropodi, che avesse trovato la sua via di penetrazione nel midollo vertebrale, ove sono prodotti i globuli del sangue. Egli ha trovato indicazioni di piccoli mutamenti genetici del midollo, avvenuto durante il decorso della malattia, e pensa che sia avvenuto a causa di un batterio capace di prendere il controllo dei meccanismi genetici dei blastociti del midollo. Di nuovo, siamo di fronte ad una questione di dinamica.
Una delle forme più interessanti di espressione delle "forme L" è il fenomeno dinamico manifesto nelle cosiddette biopellicole (biofilm). Una biopellicola è una complessa comunità di microorganismi, una micro-ecologia che può aderire, come una muffa fangosa ad una superficie vivente o inerte. Secondo alcune stime, le biopellicole sarebbero coinvolte nell’80% dei casi d’infezione. Spesso una biopellicola si forma tramite la crescita di una colonia di batteri di una singola specie; più tardi può ospitare ampie comunità di altri batteri. Tra le infezioni associate alle biopellicole sono le infezioni epiteliali, del tratto urinario e da catetere, dell’orecchio medio e da sinusite, le gengiviti, la placca dentale, l’endocardite e la fibrosi cistica. Uno specialista delle ferite diabetiche ha raggiunto qualche successo nel ridurre il frequente ricorso all’amputazione, analizzando e debellando i tipi di batteri coinvolti nella biopellicola che copre le ferite. Le biopellicole, naturalmente, hanno anche usi benefici, per esempio nel trattamento delle acque reflue, in cui i protozoi e i rotiferi digeriscono i rifiuti solidi.
Nella storica battaglia contro i batteri, la svolta necessaria dipende da una corretta comprensione della dinamica biologica. La negazione dell’esistenza delle forme pleomorfiche, del trasferimento genetico orizzontale e della presenza di forme viventi in continua alterazione (creazione continua) semplifica il mondo, accomodandolo alle angustie mentali del tipico empirista. Questa negazione, purtroppo, al contempo significa la negazione della possibilità di curare milioni di persone affette da malattie infettive non riconosciute come tali, o da forme pleomorfiche di agenti patogeni già conosciuti per la loro pericolosità. Mi pare, riflettendo sulle implicazioni dell’articolo della Klieneberger, che intorno al 1948 il mondo fosse sulla soglia di una rivoluzione nella medicina, in particolare attraverso l’identificazione degli agenti infettivi associati a molte malattie precedentemente mal capite. Il suddetto cambiamento del dopoguerra, in favore del paradigma genetico, compromise quel potenziale rivoluzionario. Non si può mancare di chiedersi: vi fu dietro una consapevole intenzione da parte di Bertrand Russell, Julian Huxley e degli altri architetti della trasformazione culturale del dopoguerra, i quali affermarono tra l'altro la propria predilezione per le pandemie, come mezzo di contrasto della crescita demografica?
Blocco biofilm: la ricerca di Alzheimer fa luce su potenziali trattamenti per le infezioni del tratto urinario 25 Novembre 2009 Da Michael Purdy (PhysOrg.com) - La ricerca sul morbo di Alzheimer sembra improbabile un approccio per ottenere un modo migliore per combattere le infezioni del tratto urinario (UTI), ma questo è ciò che gli scienziati della Washington University School of Medicine di St. Louis e altrove recentemente segnalato. Annunci Google Malattia renale cronica - Ottenere informazioni esperto di malattia renale acuta e cronica qui! - fmc-renalpharma.com/Renal-Failure Un elemento collega le zone più disparate della ricerca: amiloidi, che sono fibrosi, aggregati proteici appiccicose. Alcuni batteri infettivi utilizzare amiloidi per attaccare alle cellule ospiti e per costruire biofilm, che sono comunità batteriche legati insieme in un film che aiuta a resistere gli antibiotici e gli attacchi del sistema immunitario. Amiloidi formano anche nel sistema nervoso nella malattia di Alzheimer, morbo di Parkinson e molti altri disturbi neurodegenerativi. Per sondare contributi amiloidi 'a malattie neurodegenerative, gli scienziati alterato potenziali UTI-combattimento composti originariamente selezionati per la loro capacità di bloccare la capacità dei batteri di fare amiloidi e biofilm forma. Ma quando hanno portato i composti torna alla ricerca UTI dopo gli studi di neurologia, hanno trovato i cambiamenti, anche inaspettatamente li ha resi più efficaci trattamenti UTI. "Grazie a questa ricerca, abbiamo la prova per la prima volta che possiamo essere in grado di utilizzare un singolo composto da compromettere sia il batteri possibilità di avviare le infezioni e la loro capacità di difendersi in biofilm", dice l'autore senior Scott J. Hultgren, Ph.D., Helen L. Stoever professore di Microbiologia Molecolare presso la Washington University. I risultati sono stati riportati in linea in Nature Chemical Biology . Il National Institutes of Health ha stimato che oltre l'80 per cento delle infezioni microbiche sono causate da batteri che crescono in un biofilm, secondo Hultgren. Scienziati in laboratorio Hultgren hanno lavorato per decenni per comprendere i legami tra biofilm e IVU. "IVU si verificano soprattutto nelle donne e causa circa $ 1,6 miliardi in spese mediche ogni anno negli Stati Uniti," dice il co-autore Jerome S. Pinkner, responsabile del laboratorio di Hultgren. "Pensiamo che sia probabile che le donne che sono turbato da attacchi ricorrenti di infezioni del tratto urinario sono effettivamente afflitto da una singola infezione persistente che nasconde nel biofilm di eludere il trattamento." Co-autore principale Matthew R. Chapman, Ph.D., professore associato ora di biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo presso l'Università del Michigan, è stato un borsista post-dottorato nel laboratorio di Hultgren, nel 2002, quando ha scoperto che il batterio che provoca la maggior parte infezioni del tratto urinario , Escherichia coli, fa volutamente amiloidi. Le fibre amiloidi andare in conosciuti come curli che sono estrusi dai batteri per rafforzare le strutture di biofilm. Annunci Google COMET Clinical Trials - Informazioni sulle prove per gli uomini con cancro alla prostata in ritardo Stage - www.cometclinicaltrials.com/ Per il trattamento di infezioni del tratto urinario, laboratorio di Hultgren ha lavorato con Fredrik Almqvist, Ph.D., un chimico presso l'Università di Umea in Svezia, per sviluppare i composti che la capacità dei batteri di blocco di fare curli, interrompendo la loro capacità di fare biofilm e lasciando più vulnerabili agli antibiotici o gli attacchi del sistema immunitario. Almqvist recentemente suggerito la modifica di un gruppo tra i più promettenti curli-bloccanti per vedere se potevano anche bloccare i processi che formano amiloidi nella malattia di Alzheimer. Le alterazioni lavorato: In test di laboratorio, i nuovi composti impedito il frammento di proteina denominata beta amiloide dall'aggregare in placche amiloidi come quelli trovati nel cervello nella malattia di Alzheimer. Quando gli scienziati hanno i nuovi composti di nuovo ad un modello murino di infezioni del tratto urinario, però, hanno ricevuto una sorpresa. I composti sono stati alterati meglio a ridurre la virulenza di infezioni, inibendo non solo formazione curli ma anche la formazione di un secondo tipo di fibre, il pili batteriche. "Pili non sono fatti di amiloidi, ma sono essenziali per entrambe le biofilm e per la capacità dei batteri di avviare una infezione", dice Hultgren. Hultgren e colleghi stanno già sviluppando infezioni ancora più potente e combattenti amiloide, screening di una libreria di centinaia di sostanze chimiche simili ai composti più promettenti dello studio. Chapman avverte che è troppo presto per dire che, se del caso, dei composti sarà utile nel trattamento delle malattie neurodegenerative. "Lo sviluppo di farmaci molto neurodegenerativa è concentrata sui modi per rompere amiloidi o impedire loro di formare, ma perché amiloidi può anche essere una parte importante della normale fisiologia cellulare, abbiamo bisogno di identificare molecole che ha per obiettivo solo lo stato tossico amiloide ", dice . Per maggiori informazioni: Cegelski L, Pinkner JS, Martello ND, Cusumano CK, Hung CS, Chorell E, Aberg V, Walker JN, PC Seme, Almqvist F, Chapman MR, Hultgren SJ. Piccole molecole inibitori biogenesi bersaglio Escherichia coli amiloide e la formazione di biofilm. Nature Chemical Biology .
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Bacterial Amyloid (Curli Fibers) Forms Biofilms
Biofilm Formation from Secreted Proteins and Polysaccharides
Investigators passed some E. coli through a special slide chamber so they could watch at high magnification as a single bacterium attached to the surface, divided to produce a colony of a few bacteria and then began to secrete proteins (curli fibers) and polysaccharides (colanic acid and cellulose) to make the biofilm matrix. The matrix stained red with Congo Red.
Congo Red Stains Amyloids, Cellulose and Rare LPS

Staining with Congo Red shows that the spacing of hydrophobic patches on the surface of the biofilm matrix matches the flat hydrophobic, aromatic rings of the dye, Congo Red. This particular dye is important, because Congo Red also specifically stains amyloid, e.g. beta amyloid of Alzheimer’s disease. But Congo Red also binds to cellulose, a linear beta 1,4-glucan polysaccharide. This seems paradoxical, because we are taught that the sugars of which a polysaccharide are made are hydrophilic. That turns out to be a half-truth.
Faces of Sugars Are Hydrophobic
The hydrogen bonding hydroxyl groups that make sugars water soluble and hydrophilic, radiate from a ring of carbons, and the faces of that ring cannot make hydrogen bonds. The faces of sugars are hydrophobic and in most cases will bind to hydrophobic surfaces, such as aromatic amino acids, e.g. tryptophan, tyrosine and phenylalanine. Thus, carbohydrate binding enzymes, such as shown in the figure bind cellulose (in grey and red) in a groove lined with aromatic amino acids (yellow and orange) so that each sugar orients over and sometimes sandwiched between aromatic amino acid residues. This also explains why Congo Red binds to cellulose, since the aromatic rings of the dye bind to neighboring glucose residues along the relatively flat cellulose strand. Most other polysaccharides and smaller sugars lack this spacing of sugars and they don’t stain red with Congo Red.
Basic Amino Acids Bind Hydrophobically
Another misperception is that basic amino acids, positively charged lysine and arginine, are hydrophilic. The nitrogen atoms that make these amino acids positively charged, can form hydrogen bonds, but the hydrocarbon tails that have these nitrogenous tips, are hydrophobic. Thus, basic amino acids and aromatic amino acids can stack to form tryptophan/arginine ladders in which they alternate. A prominent example of these interdigitations are the way that nuclear localization signals, a quartet of basic amino acids, bind to importin via its projecting, spaced tryptophans and drag proteins through pores into the nucleus. Similarly, the basic amino acids of heparin-binding domains extend across the hydrophobic faces of the sugars of heparin and hydrogen bond with their tips to the sulfates of the heparin. In each of these binding examples the binding is primarily hydrophobic.
Amyloid Binds Congo Red by Stacked Heparin-Binding Domains
Amyloids are proteins that stack together like stacking chairs, so that each protein is oriented in the same way all along the stack. In the case of the beta amyloid that makes up the toxic plaque in Alzheimer’s disease, each amyloid peptide is stacked like a hair pin on top of the next to make a fiber. At the bend in beta amyloid, is a basic amino acid and the amyloid fiber has a band of basic amino acids along its length. The spacing between the basic amino acids in an amyloid stack is just spanned by Congo Red, so amyloids are diagnostically stained red. This same spacing of basic amino acids fits the sugars in heparin. Thus, heparin can catalyze amyloid formation and is abundant in amyloid plaques in Alzheimer’s
Bacterial Biofilms Form from Amyloids and Polysaccharides
The E. coli cells that formed the biofilms that started this article secrete a protein, curli, that stacks as an amyloid into fibers. These fibers stained by Congo Red and bind to the cellulose that is also produced by the E. coli. It should not be surprising that biofilm formation is catalyzed by heparin and biofilm formation is a major problem in catheter infection, since heparin is used to coat catheters to keep them from forming blood clots. Amyloids are also formed from stacked seminal acid phosphatase proteins that form fibers in the presence of heparin and facilitate HIV infection.
Do Biofilms Foment Amyloid Production?
Basic amino acids, sugars, aromatic amino acids and plant phytochemicals all bind each other via their hydrophobic surfaces. It would not be surprising that bacteria that produce proteins and acidic polysaccharides that interact hydrophobically would also interact with host molecules with a similar spacing of hydrophobic surfaces, which are common in heparin-binding interactions and nucleic acid interactions. The bacteria in biofilms produce both proteins and polysaccharides that may catalyze amyloid production. The acidic biofilm polysaccharide, colanic acid, may replace heparan sulfate and curli should bind to heparin.
Berberine Binds Heparin and Blocks Amyloids and Biofilms
Just as bacterial products may compete for host heparin and heparin-binding domains, phytochemicals that interact with heparin, such as the phytochemical berberine, should disrupt heparin mediated molecular interactions, and by extension also biofilms. There is experimental evidence for berberine both disrupts amyloid formation and biofilm assembly.